REGALATI
Nei panni di mia moglie
di A. Saviano
Nei panni di mia moglie - Andrea Saviano
direttamente a casa tua con
www.IBS.it

ISBN 88-7568-298-4
EDITRICE NUOVI AUTORI
via G. Ferrari, 14
20123 Milano (MI)

SOMMARIO
01 - Nello studio di Mac Koonbaa
02 - Effetti indesiderati e controindicazioni
03 - Nel bel mezzo di un gelido guado
04 - Una tranquilla giornata di lavoro
05 - CIS viaggiare informati
06 - Un'altra giornata d'ordinaria follia
07 - Ebenezer Scrooge chi era costui?
08 - Il momento delle riflessioni
09 - Previsioni del tempo
10 - Grazie a Dio: venerdì!
11 - Un sabato italiano
12 - Viva la mamma!
13 - Qualcosa d'indigesto
14 - Una notte non del tutto tranquilla
15 - ... e alla fine, ovviamente: il finale
16 - Postfazione (ovvero il vero colpo di scena)

recensione su qLibri
Mac Koonbaa

PREFAZIONE

La storia inizia in medias res quando Felice – tranquillo uomo tutta casa, chiesa e lavoro – si reca insieme ala moglie da un consulente matrimoniale: il professor Sean Mac Koonbaa. Il professionista all'apparenza sembra tutto meno che “serio” e il suo approccio appare poco professionale, ma ben presto la coppia dovrà ritornare sul giudizio frettolosamente dato.
Nel bel mezzo della notte, infatti, Felice si sveglia un po' stranito e, recatosi al bagno, s'accorgerà di essersi trasformato nella moglie e che quest'ultima s'è trasformata in lui.
Dopo l'iniziale rabbia i due vengono convinti dal consulente matrimoniale a provare cosa significhi l'immedesimazione dei ruoli l'uno dell'altra. Dopo varie disavventure, la coppia inizia ad abituarsi all'idea dei ruoli invertiti, vivendo momenti altalenanti di grande euforia e di somma disperazione in cui la figura del professore a volte sembra rievocare Virgilio a volte Beatrice in un susseguirsi di inferno, purgatorio e paradiso.
Felice, gradualmente prende coscienza dei propri limiti e del vero significato di parole come amore, matrimonio e sessualità. La sua visuale della vita, molto unilaterale, tenderà ad ampliarsi, realizzando una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di vedere il matrimonio e la vita stessa.
I valori cristiani fanno da sfondo a tutta la vicenda, giacché la coppia si ritiene cattolica professante, pur contravvenendo spesso all'etica che ritengono propria. Al termine della settimana l'effetto dell'inversione di identità termina e i due si trovano a dover affrontare il giudizio del loro severo maestro di vita.
Un paio di colpi di scena ravvivano quindi il finale mantenendo fede al motto che sostiene: “le storie si giudicano solo alla fine”. Tuttavia la scritta FINE non pone termine al romanzo, poiché il vero colpo di scena avviene nella postfazione, sottoposta all'attenzione del lettore come capitolo XVI e caratterizzata dal sottotitolo “ il vero colpo di scena”.

Nei panni di mia moglie

di Andrea Saviano

I - Nello studio di Mac Koonbaa


Erano settimane, per non dire mesi, che con mia moglie le cose non funzionavano più come prima. Esaurita l'euforia dei primi anni di matrimonio, il nostro rapporto s'era andato via-via deteriorando.
Per questo motivo mi ero dedicato alla ricerca di un professionista, un consulente matrimoniale che ci potesse aiutare nell'impresa di rimettere in sesto il nostro matrimonio.
In realtà, a cercare bene, non c'era un motivo per il quale, giorno dopo giorno, avessi iniziato a "detestare" la compagnia di mia moglie. Piuttosto c'erano tante cose che, messe insieme, oramai mi davano veramente fastidio. Insomma, era un po' come si fa quando la macchina invecchia e la si porta dal carrozziere per sistemare le varie magagne alla scocca e agli interni. Non grossi danni, ma tutta una serie di leggere abrasioni accumulatesi con il passare del tempo. Tutte cose che alla fine rendono l'auto in qualche modo sgradevole, deprezzandone il valore.
Ad essere sincero, ero ancora innamorato (no, innamoratissimo) di mia moglie, altrimenti l'avrei lasciata e basta. Al contrario, cercavo un aiuto esterno proprio perché ero conscio che, almeno da parte mia, il sentimento che provavo per lei era ancora forte e sincero (o almeno così credo). Insomma, tornando al paragone della mia unione coniugale con un'auto: l'impianto elettrico era come fosse nuovo e il motore girava come un orologio svizzero.
Così, dopo tentennamenti, tanto "fai da te" e lunghe discussioni, eccoci nella sala d'aspetto di un tizio che in molti m'avevano consigliato, parlandomene un gran bene.
Lei, la mia dolce (e un po' amara) metà, ora era seduta al mio fianco, stringendo la sua borsetta nervosamente tra le mani. Io, altrettanto teso e agitato, la fissavo perplesso e speranzoso.
« Vorrei sapere cosa ci siamo venuti a fare qui, tu e le tue idee assurde. A me non va di parlare dei fatti miei ad un estraneo. » Furono le sue "amorevoli" parole.
« Abbi fiducia, tutti mi hanno assicurato che è un vero mago per quello che riguarda i problemi di coppia. Pare sia la massima autorità in questo campo... non solo in Europa, ma a livello mondiale. »
«Sarà anche vero, ma non credo che servirà a molto. Il vero problema è che tu non vuoi capire. Tu ti ostini a non capire...»
Come al solito, era sempre e solo colpa mia.
Da mesi lei sembrava avere solo voglia di litigare e, a dire il vero, anch'io, ormai esasperato da quel suo comportamento, ne avevo... anche se un po' di meno.
Com'era da tempo usuale, tra noi due finì per regnare il silenzio. Per ingannare l'attesa, iniziai a sfogliare delle riviste, così avrei evitato di rimuginare su questa ennesima discussione. Mentre stavo ammirando varie località da sogno, dove avremmo potuto trascorrere le ferie, una graziosa signorina entrò nella sala d'aspetto. Definirla solamente "graziosa signorina", devo ammetterlo, era riduttivo. Tanto per essere sintetico: tutte le sue curve erano ottime e abbondanti.
Cercai di leggere il cartellino con il nome che le pendeva dalla generosa scollatura e, nonostante l'occhio tendesse in un proprio moto anarchico a scivolare all'interno del decolletè, riuscii infine a leggere la targhetta: Sibilla Khumana.
« Il professor Mac Koonbaa può ricevervi, seguitemi » disse, con estrema cortesia e professionalità, la ragazza. Ci alzammo e la seguimmo. I miei occhi d'istinto scesero ad ammirare il suo perfetto fondoschiena. Un attimo dopo, la borsetta di mia moglie con tutto il suo pesante contenuto s'infrangeva sul mio stomaco, mandando a pezzi l'inconscio desiderio di accarezzare quella morbida superficie che ondeggiava davanti ai miei occhi con una sorta di potere ipnotico, suggerendo al mio subconscio una sola cosa: « Toccami! »
« Insomma! » Esclamò mia moglie con un fil di voce nell'orecchio, mentre varcavamo la soglia che ci conduceva al sancta-sanctorum di quello studio privato. L'assistente ci fece accomodare su due poltroncine comodissime, poste davanti ad una scrivania dietro la quale ce n'era una terza vuota. Ci voltammo a ringraziare la ragazza e un attimo dopo, materializzandosi quasi fosse comparso dal nulla, apparve di fronte a noi un tizio dall'aria poco affidabile.
Un omone di quasi due metri – con dei capelli lunghi, ispidi e biondi; una barba folta, anch'essa ispida e bionda e due sopraciglia che, per non sfigurare con il resto, erano folte, ispide e bionde – ci fissava intensamente con i suoi occhi azzurri, mentre rigirava una pipa spenta tra i denti.
Osservando quella brutta versione umana di un peluche, mi ritenni pentito della scelta da me effettuata, soprattutto quando, scostatosi dalla scrivania, evidenziò la presenza di una corta gonna in tessuto scozzese. Poco sotto il "raffinato" capo in tartan, indossava un paio di stupendi calzettoni bianchi con una sorta di laccio reggicalze che terminava con due pompon rossi.
« Dove mi hai portato, deficiente! » Mi sibilò nell'orecchio mia moglie. Una volta tanto pensai che avesse ragione.
« Salve, sono il professor Sean Mac Koonbaa. »
L'intonazione della voce era un po' stridula e l'accento era da straniero, anzi tipicamente inglese; si trattava insomma di un italiano stentato che, nell'insieme, ricordava la parlata di Stan Laurel, quello magro della coppia comica Stanlio e Ollio, tanto per intenderci.
« Piacere mio, siamo il signor Felice e la signora Fortunata Allamano » dissi io, alzandomi in piedi, con fare riguardoso, per stringergli la mano.
Lui fece finta di niente, lasciandomi in piedi e con la mano tesa come fossi un perfetto imbecille. Mi squadrò da capo a piedi e si sedette sul bordo della scrivania, accavallando le gambe pelose e afferrando saldamente la propria pipa in mano.
« Allora, raccontatemi i vostri problemi, io vi ascolterò ad occhi chiusi in modo da visualizzare meglio le situazioni. Vi spiace se io fumo? »
Istintivamente avrei voluto ricordargli che la legge lo vietava e che io, in particolare, provavo un vero e proprio fastidio per il fumo, ma mi parve d'essere scortese, così dissi: « Si figuri, faccia pure. »
Mia moglie, che detestava il fumo quanto me, se non di più, mi fulminò con lo sguardo per aver pronunciato quella frase e, prima che mi riaccomodassi, m'assestò un poderoso calcione sullo stinco.
« Chi comincia dei due? » Chiese il professore.
« Io! » Rispose mia moglie con un tono così perentorio che era difficile per me anche il solo concepire l'idea di contraddirla.
Rimasi ad ascoltare l'elenco di tutti i miei difetti (veri e presunti), snocciolati da Fortunata ad uno ad uno, notando in lei una strana espressione di soddisfazione sul volto. Una serie d'inezie, a mio avviso. Nulla di grave. Cose come il copri-tazza del cesso lasciato su, il tubo del dentifricio messo così invece che costà, il fatto che soffrissi d'insonnia, disturbando il suo riposo notturno, e via discorrendo.
Quindi fu il mio turno, elencai anch'io tutte le cose che di lei non mi andavano a genio, cose ben più gravi delle mie lievi mancanze, non i miei "peccatucci veniali", ma veri e propri "peccati mortali"; come il fatto che:

e via discorrendo.
Quando io finii, il professore rimase in silenzio, non per qualche secondo, ma per parecchi minuti, provocando un senso di smarrimento in mia moglie e me.
Era lì, quasi immobile. Occhi chiusi e, unica cosa che dimostrasse un qualche segno di vita, le nuvolette di fumo che ogni tanto uscivano dalla sua bocca.
Che si fosse addormentato annoiato dalla nostra cronaca matrimoniale?
Ad un certo punto, estrasse la pipa dalle labbra, emise tre anelli di fumo concentrici e aprì gli occhi, fissandoci intensamente con uno sguardo allucinato, da pazzo.
« Direi che nulla di quello che mi avete detto è rilevante. Voi non avete nessun reale problema di coppia. »
Mia moglie ed io ci fissammo stravolti negli occhi e dicemmo sorpresi all'unisono:
« Come sarebbe che non abbiamo nessun reale problema di coppia?! » Subito dopo ci girammo verso il professore per ascoltare la sua risposta. Due anelli di fumo, intrecciati uno dentro l'altro come fossero gli anelli di una catena, si stavano levando verso il soffitto.
Ci chiese: « Vedete quei due anelli? »
« Sì. » Fu la nostra risposta, sottolineata da un tono di meravigliata sorpresa per quella "artistica" emissione di fumo.
« Voi siete così: due individui distinti, uniti e, al tempo stesso, separati. »
Mia moglie ed io tornammo a fissarci negli occhi con aria sempre più perplessa.
« Siete due individui, legati da un sentimento, ma separati fisicamente. L'accettazione dell'altro prevede la coesistenza in spazi comuni, la sopportazione e l'immedesimazione. Voi avete bisogno di questo! Si chiama empatia. »
La sua spiegazione non servì ad eliminare l'espressione perplessa dai nostri volti e l'improvviso silenzio sceso nella stanza fu rotto solo dalle inattese parole del professore. « Posso offrirvi qualcosa da bere? »
« No, grazie. » Rispondemmo all'unisono, in un'insolita quanto perfetta armonia.
Lui, come se non ci avesse nemmeno ascoltato, accese l'interfono, chiedendo alla sua collaboratrice: « Sibilla, per favore, potrebbe gentilmente portare le solite bibite ai nostri due ospiti? »
Ancora una volta incrociai imbarazzato lo sguardo con quello di mia moglie che, con il solo movimento delle labbra, pronunciò chiaramente la frase: “Questo è completamente pazzo!” senza emettere alcun suono.
« Vedete, » riprese a spiegare il professore, « all'inizio c'è l'innamoramento. Esso è una benda posta sui nostri occhi che c'impedisce di vedere l'altro per com'è, costringendoci ad immaginarlo come noi lo vorremmo. Esalta i pregi dell'altro, ma ne oscura i difetti. Insomma materializza ed incarna nell'altra persona i nostri desideri. »
Annuimmo. Una volta tanto mia moglie ed io eravamo d'accordo su qualcosa.
« Quello che ci dovrebbe portare a decidere di sposarci, quindi alla convivenza, dovrebbe essere l'amore. Sapete cos'è l'amore? »
Per paura di sbagliare la risposta ci stringemmo, entrambi, tra le spalle senza rispondere, allargando i palmi delle mani e facendo un'espressione dubbiosa e, forse, un po' beota.
« L'amore è la piena visione ed accettazione dell'altro per com'è, difetti compresi. L'omologazione dell'altra persona all'interno del nostro spazio. L'abolizione di ogni confine, per accogliere l'altro, realizzando un luogo condiviso e appartenente ad entrambi. Una "casa comune", il matrimonio appunto. Dove non esistono aggettivi possessivi come: mio, tuo o suo. Dove tutto, siano cose o sensazioni, sono sempre ed esclusivamente caratterizzate dall'aggettivo possessivo nostro. »
Mia moglie ed io ci guardammo con un'espressione che pareva dire: "La risposta era semplice, no? "
Quando tornammo a fissare il professore, due anelli intrecciati si levavano nuovamente in volo verso il soffitto. Ancora una volta c'eravamo distratti cosicché rimaneva un mistero come egli riuscisse in quell'impresa.
«Vedete quei due anelli?»
Stupefatti rispondemmo: «Sì...»
« Voi siete come quei due anelli, uniti da uno spazio condiviso, senza per questo essere un'unica cosa. Due anelli di una catena hanno come intersezione l'insieme vuoto, questa è una semplice constatazione d'insiemistica! » « Scusi professore, » intervenne mia moglie « può spiegare meglio questa cosa? Credo che mio marito non abbia capito bene... »
Ecco, non aveva capito lei e chiedeva al "bietolone" di rispiegare la cosa a me!
Tutto sommato il fatto che chiarisse questo passaggio mi andava anche bene. Infatti, (se proprio devo essere sincero) nemmeno io avevo capito molto questa cosa degli anelli uniti e distinti, dello spazio comune e non condiviso. A dire il vero il mio cervello, come la pipa di quel "tizio", stava emettendo fumo già dai primi astrusi e complessi concetti sul matrimonio, sull'innamoramento e sull'amore.
« Certo... oh, ecco Sibilla! »
Senza che ce ne fossimo accorti, la sua assistente era entrata con un vassoio sopra il quale c'erano due bicchierini, entrambi contenenti un liquido dall'inquietante colore blu elettrico fluorescente. In realtà non avevo avvertito alcun rumore e meglio sarebbe dire che la ragazza aveva improvvisamente assunto forma corporea lì al mio fianco, quasi fosse apparsa dal nulla.
« Bevete, bevete pure! Non è veleno. Assaggiatelo, è buono. »
Non volendo in alcun modo "offendere" il professore, io lo assaggiai senza esitazione per primo.
In effetti, nonostante la consistenza ed il colore (a dir poco inquietanti) quel liquido era buono e sapeva di frutti di bosco.
« Cara, assaggia, è buono! » Dissi, per esortare mia moglie a fare altrettanto, cioè non offendere in alcun modo il professore. Lei fissava ancora il contenuto con orrore e sospetto, rimanendo immobile, senza nemmeno azzardarsi a toccare il bicchiere, come una bambina costretta a prendere una medicina troppo amara.
Seppur titubante, anche lei ne assaggiò un po'.
« Buonissimo! Sa di cacao » sentenziò, sorprendendomi, estasiata.
Fissai mia moglie inorridito. Come faceva a scambiare il sapore dei frutti di bosco con quello del cacao? Ecco svelato l'arcano per cui cucinava così male! « Di cosa stavo parlando? » Riprese il professore. « Ah, sì, di voi due! »
Il nostro sguardo tornò sul professore, il quale era di nuovo affiancato da quei due "misteriosi" cerchietti di fumo collegati tra loro come la maglia di una catena. Ancora una volta avevamo perso l'attimo in cui lui aveva dato vita a quelle due figure.
« Voi due siete come questi anelli, legati uno all'altro, ma non uniti. Voi non avete alcuna intersezione, non siete in simbiosi. Conservate ancora troppo spiccate le vostre individualità. Non accettate i compromessi e proteggete il vostro territorio. Questo vi fa sentire l'altro come un estraneo che minaccia e invade la vostra zona di pertinenza. Insomma, siete in quello che io definisco "il limbo del rapporto di coppia". Come molti altri siete, rimasti immobili a "metà del guado" tra amore e innamoramento. Le vostre individualità devono accettare l'altro in uno "spazio" comune, tramite la "strada" dell'immedesimazione; tutto ciò partendo dal concetto della buona fede: "chi vi ama non può volere il vostro male!" »
Mia moglie si tamponò le labbra con un fazzoletto di carta, quindi disse: « Scusi professore se le sembro ignorante, ma mio marito ed io cosa dovremmo fare per finire di attraversare il guado invece di starcene, se mi consente l'espressione, a bagnomaria? »
Il professore si aprì in un ampio sorriso.
« Signora, niente e tutto! Voi avete bisogno d'immedesimazione! Oggi è... martedì! Bene, nelle prossime ventiquattro ore restatevene a casa. Mi raccomando, non uscite assolutamente! Se avete bisogno di qualcosa, fermatevi lungo la strada di ritorno e prendetela; quindi anche lunedì prossimo per ventiquattro ore dovrete rimanere a casa e martedì della settimana a venire, alla medesima ora, tornate qui. Vi fisso già l'appuntamento. » Ci alzammo perplessi, lui ci strinse la mano senza aggiungere altro e la segretaria ci venne incontro per accompagnarci alla porta.
Nella mia mente s'affollarono dei ma, parecchi se e alcuni perché, tuttavia non riuscii a dare sfogo ai miei dubbi e seguii l'assistente mormorando frasi prive di senso compiuto.
Nella sala d'attesa un'altra coppia attendeva il proprio turno, probabilmente nella nostra medesima condizione.
Notai il marito che fissava il bel posteriore dell'assistente e la moglie che gli assestava un'energica gomitata in corrispondenza del fegato. Fissai l'espressione di composto dolore dell'uomo e pensai: « Sì, sono proprio nella nostra medesima situazione! ».
CONTINUA...

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